“Qui si fa la storia”, cronache da Puerta del Sol

Puerta del Sol, Madrid. Ieri sera.

Il movimento della Puerta del Sol (e di moltissime altre piazze spagnole) ha vinto la sua prima, simbolica, battaglia. Nessuno sgombero allo scoccare della mezzanotte, come avrebbe voluto la Commisione elettorale centrale, in ossequio alla norma che impone la fine della propaganda prima del voto di domenica. Semplicemente impossibile: la quantità di gente è enorme, nemmeno pensabile che i poliziotti si mettano a far allontanare decine di migliaia di indignados. Rispetto a giovedi, le persone si sono moltiplicate, difficile stabilire per quante volte. Un’autentica marea umana ha sfidato il divieto di manifestazione scattato alle 24 di venerdi, senza cadere in nessuna provocazione.

Arrivo a Sol verso le 19, notando subito qualcosa di diverso rispetto al giorno precedente. All’ingresso della piazza ci sono manifestanti che hanno al braccio una fascia bianca. Sono una sorta di servizio d’ordine, ma hanno scelto per sé un nome meno militaresco: “comitato del rispetto”. Loro compito è di evitare conflitti, spiegare alle persone che non si tratta di un botellón ma di una protesta seria, vigilare su possibili infiltrazioni dell’estrema destra. Rispetto verso i manifestanti e rispetto dei manifestanti nei confronti del “decoro” della piazza. Mi raccontano Jose e Liliana che, un paio d’ore prima, un gruppetto di incanagliti militanti di una sedicente “associazione della classe media” ci ha provato, ma per fortuna senza successo. C’è un po’ di timore, dicono di fare attenzione alle vie laterali, si sussurra di possibili nazistelli in cerca di prede. Risulteranno timori infondati. Chiedo loro di dirmi in sintesi estrema gli obiettivi principali del movimento: riforma della legge elettorale e una legge contro i politici corrotti.

L’affluenza aumenta vistosamente ogni minuto, mi addentro nella piazza e ho la sensazione di incontrare meno ambiguità del giorno prima. Slogan, cartelli, discorsi: mi sembra tutto più “di sinistra”, per dirlo in modo un po’ banale. Interpello Maribel e Marian. Sono due psicologhe trentenni. La prima è la più “fortunata”, essendo una mileurista (come si chiama in gergo la categoria dei lavoratori che guadagnano intorno ai mille euro al mese). La seconda è disoccupata: dopo avere vissuto per conto proprio quando lavorava, ora è tornata a vivere con i genitori. Non sarà l’unica tra le persone con le quali parlo: chi è disoccupato non può più permettersi nemmeno una stanza in una casa con altri coinquilini.

Javi, studente di fisica di 19 anni, è il primo dei molti che mi dicono con la massima convinzione che “si deve fare come in Islanda”. Vedo numerose spillette con la bandiera di quel lembo d’Europa convertitosi in punto di riferimento per come ha reagito alle malefatte di banchieri e speculatori. Per Javi, “democrazia reale” significa poter indire referendum sui temi maggiormente controversi. Insiste sulla riforma della legge elettorale e su di una “effettiva separazione dei poteri”, che a suo giudizio in Spagna non c’è, a causa dell’eccessiva influenza dei partiti sulla magistratura e sulla Corte costituzionale. Gli chiedo qual è stata la causa scatenante del movimento: a suo giudizio, “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” va individuata nella legge che ha proibito di scaricare da internet film e musica, interpretata come un attacco ad uno spazio di libertà personale. Concordano con lui un gruppetto di ragazzi con la maschera di Anonimous, che mi dicono indicando la moltitudine: “esto es internet”. Secondo loro, la rete è “l’ultimo bastione della libertà”.

Alzo lo sguardo. Un grande striscione recita “Madrid será la tumba del neoliberalismo”, facendo il verso ad analogo proclama antifascista dell’epoca della guerra civile. Speriamo che stavolta corrisponda a realtà. Tra gli innumerevoli cartelli, si spazia da rivendicazioni di una giustizia indipendente a richieste di residenze per anziani non autosufficienti, sino al “vogliamo tutto” di matrice settantasettina nostrana. Si leggono anche molti inviti a “smettere di bere e iniziare a lottare”: è palpabile la critica che una parte di mondo giovanile fa ai propri coetanei, distratti da troppo divertimento effimero. Si sfiora il moralismo, per noi è piuttosto insolito. Mi capita persino di vedere due ragazze prendersela con un venditore ambulante di birra, invitato gentilmente ad allontanarsi, dal momento che “esto no es un botellón”. Non si vuole essere confusi con i festaioli rumorosi che altrimenti popolerebbero le strade del centro città in un qualunque altro venerdi sera: il movimento tiene alla propria serietà. In molti mi dicono che “si sta facendo la storia”. Impossibile non cogliere l’emozione che c’è nei volti e nelle parole di chi riempie la piazza: è un giorno in cui si vive la sospensione dell’ordinario corso delle cose.

Tra i diversi volantini che riesco a raccogliere, un paio sono di chiaro contenuto anarchico e chiamano all’astensione. Altri insistono sulla necessità di votare “qualunque altro partito” tranne il PSOE e il PP. La corruzione li accomuna senza distinzione, dicono in molti. Rispetto al giorno precedente, le voci astensioniste mi paiono decisamente inferiori a quelle di chi voterà. David, ventisettenne con 2 master in sociologia, un libro del guru dei democratici americani Lakoff tra le mani, non ha ancora deciso chi sceglierà, ma sa che si recherà alle urne. M’imbatto in due erasmus italiani, Roberto e Chiara. Sono siciliani, studenti fuorisede a Bologna. Nel nostro paese guardano con interesse a Vendola, ma è qui, partecipando con entusiasmo a questo movimento, che hanno la sensazione di stare “facendo la storia”.

Dai microfoni si legge un breve manifesto d’intenti. Lo si fa in spagnolo, in inglese, giapponese, italiano, francese, euskera (la lingua basca), tedesco e portoghese. Si sottolinea il carattere pacifico e non violento della manifestazione, raccomandando di rispettare i poliziotti in quanto lavoratori. Gli organizzatori mettono in guardia dal cadere in provocazioni con l’avvicinarsi della mezzanotte, ora in cui scatterà il divieto ufficiale di continuare a restare riuniti. Vengono annunciate tutte le città al di fuori della Spagna nelle quali sono in corso iniziative simili, accolte da ovazioni. Nei tavoli al centro della piazza vi è chi raccoglie firme contro la legge sull’immigrazione, di fianco a chi distribuisce gratuitamente il moltissimo cibo che sostenitori e partecipanti hanno donato.

Verso le 22 risulta ormai quasi impossibile muoversi. La quantità di gente è impressionante. Riesco a scambiare qualche parola con tre maestre elementari che esibiscono cartelli a difesa della scuola pubblica. Sono le prime, in due giorni, che nei loro discorsi distinguono fra le politiche che dipendono dalle amministrazioni regionali e quelle di competenza statale. La loro nemica è la presidentessa della regione di Madrid, Esperanza Aguirre, del PP, artefice di una privatizzazione strisciante del sistema scolastico pubblico. L’istruzione, in Spagna, dipende in buona misura dalle comunidades, le regioni. Probabilmente domenica voteranno il PSOE: a loro giudizio, nelle regioni governate dai socialisti le condizioni della scuola pubblica sono incomparabilmente migliori.

Con fatica, raggiungo un’uscita della piazza e cammino per le vie limitrofe. Gente ovunque anche qua, che si concede un po’ di respiro. Si avvicina la fatidica mezzanotte, quando tutti dovranno essere alla Puerta del Sol. Nella piazza Jacinto Benavente si svolge un’assemblea che raccoglie quanti hanno lavorato nei diversi gruppi di lavoro, che ha l’obiettivo di socializzare i risultati raggiunti dalle discussioni. L’atmosfera è da social forum. Saranno almeno due-trecento persone, quasi esclusivamente giovani dall’aria “impegnata”. Ascolto con attenzione, ma il megafono non è granché. Capisco che è il report del gruppo sulla sanità. Le proposte che si avanzano spaziano da una legge per incrementare il ricorso ai farmaci generici a norme che garantiscano la trasparenza nella gestione degli ospedali.  Non mancano momenti divertenti, come quando il portavoce annuncia la proposta per creare un istituto… ma non si ricorda più dedicato a cosa. Approvazione e applausi in ogni caso.

A mezzanotte meno un quarto mi dirigo di nuovo alla Puerta del Sol, ma non è possibile avvicinarsi.  C’è gente ovunque, le strade attorno sono piene. Attendiamo l’arrivo del sabato, si sta in silenzio per un lunghissimo minuto. Poi scoppia un fragoroso applauso, partono cori: “non ce ne andiamo” e “senza di noi non siete niente”, rivolto ai politici in crisi di legittimità. E’ scattato il silenzio pre-elettorale, che qua chiamano il “giorno della riflessione”. Gli zelanti magistrati amministrativi della Giunta elettorale centrale e i mezzi di comunicazione di destra vorrebbero che gli indignati smobilitassero tutto, come se la loro fosse una manifestazione di propaganda elettorale. Ma nessuno ci pensa neanche per un momento. In fondo, come recita un cartello appeso da qualcuno, “aquí se reflexiona mucho”. Nulla di più vero.

(Jacopo Rosatelli, da Madrid)

4 commenti

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4 risposte a ““Qui si fa la storia”, cronache da Puerta del Sol

  1. Lorenzo Fanoli

    Ho frequentato parecchio la Spagna da poco dopo la fine di Franco fino ad oggi. Per lavoro ho anche avuto modo di interagire e intervistare funzionari del governo nazionale e regionale e di farmi qualche idea sulla politica e sulle dinamiche di rappresentanza e governo. Ed ho sempre comunque avuto l’idea che, tutto sommato, da loro le cose andassero meglio che da noi. Molti episodi di corruzione che sono emersi in Spagna e che hanno provocato scandali, dimissioni, processi fanno sorridere rispetto a quello cui siamo abituati in Italia.
    La società e l’economia spagnola sono cresciute in fretta ma non è cresciuto di pari passo il sistema di tutela e consolidamneto del lavoro. I giovani spagnoli che ho conosciuto facevano vite precarie, molto simili al modello americano rispetto ai nostri riferimenti europei; solo che…. la cosa può funzionare se pensi che le cose possono migliorare continuamente.
    La crisi degli ultimi due-tre anni anche da loro ha reso evidente che il futuro non è per forza sempre migliore “a prescidere” e che “desigual” può essere un marchio di successo per dei vestiti divertenti ma non un bel modello sociale.
    C’è poi un onda lunga davvero significativa che a partire dalle rivolte dei nostri giovani fratelli magrebini arrivano fino a noi. Anche fino alla vittoria di Giulinao Pisapia nelle prossime elezioni del 29 e 30 maggio.
    E’ la rivolta contro al società liquida.
    La contrapposizione della densità dei corpi e dei legami collettivi alla dematerializzazione e virtualizzazione dei poteri. C’è una riaffermazione di identità collettive che si incontrano fisicamente nelle piazze e nella riflessione comune.
    Non è male e in genere ci si diverte.
    Perchè al di là di tutto….fare politica è tornata ad esere una cosa divertente.

    • Giordi

      Prima di tutto chiedo scuse per il mio italiano, e ringrazio a Jacopo per il suo resoconto di quanto accade a Madrid. In quanto spagnolo in esilio, i suoi testi compensano un pò la frustrante sensazione di non pottere essere lì.
      Vorrei rispondere alla replica di Lorenzo Fanoli. Non vorrei cadere in semplificazioni che non fano giustizia alla specificità di paesi con una storia e una situazione politica e soziale molto diversa, ma non mi sembra che la disperante situazione italiana giustifiche un contrasto manicheista con la Spagna. Perche le cose in Spagna comunque per sorridere non sono. Se uno pensa nel GAL, nei piu di 100 candidati alle elezioni di domani che sono imputati per corruzione, o a Valencia, dove da due anni il governo communale e regionale fa fronte a accuse di corruzione di proporzioni mostruose senza una sola dimissione (e domani ripettono candidati) – questi “scandali” (dimissioni comunque non conosco nemmeno una) sono stati fenomeni assolutamente marginali, quasi sempre istrumentalizzati per uno dei due grande partiti – quello che in quel caso particolare non era stato beccato.
      In quanto alla situazione economica, la Spagna è stata già colpita da una crisi nella prima mittà degli anni 90. L’uscita di questa crisi inicia un periodo di rapida crescita economica rapida, ma non va accompagnata in assoluto di una crescita sociale – piuttosto di degrado e precarizazzione. Questo modelo de crescita è una delle cause de la fragilità della struttura soziale e lavorativa spagnola in confronto con la crisi attuale. In questo contesto nessuno pensava che le cose pottessero migliorare continuamente – come avrebe pottuto, se doveva pagare ipoteche per al meno due decenni senza avere delle condizioni lavorative stabili? Da una decina di anni, i call center spagnoli sono pieni di laureati e dottorandi, che condividono destino lavorativo con inmigrati e gente che, verso la cinquentina, si è trovata disocupata e non è riuscita a trovare altre opzioni. L’idea della di un futuro sempre per forza migliore è forse una cosa della generazione cresciute negli anni 60, ma per noi ormai è da tempo pasata – e penso non solo in Spagna. Il disagio di una gioventù più preparata delle generazione precedenti, che nonostante non trovava nesuna posibilità lavorativa accorde alla sua situazione, è stata una costante in Spagna dalla fine degli anni 80 (chi ricorda ancora la publicità di “jóvenes aunque sobradamente preparados”?). Dal 2004 si parla -come ben segnala Jacopo- di “mileuristas”, ma ci sono ancora tanti che guadagnano abbastanza di meno. Adesso i messagi impliciti ed espliciti dil governo spagnolo –dai programmi di TV tipo “Spagnoli nel mondo” fino agli accordi con Merkel– sono una chiara chiamata per i giovani a emigrare.
      Non so se questa situazione sociale -ne localmente specifica ne globale- si può sintetizzare con l’etichetta “società liquida”. Mi pare questo sia, appunto, un’etichetta di significato confusso e non un concetto, e quindi non aiuta a capire lo specifico delle transformazione sociali degli ultimi decenni. Comunque le situazioni dei diversi “fratelli magrebini”, che sono già divergenti tra di loro, sono ben diverse delle nostre – anche di quelle che hanno scatenato le proteste natte nella Puerta del Sol de Madrid. Unificare tutte con l’astratto denominatore comune del”indignazione” piuttosto nasconde le cause reali che operano in ogni caso specifico.
      Per un paese che domani va alle urne, in una crisi politica ed economica attroce –che ancora durarà degli anni–, con una legge elettorale assolutamente ingiusta e con una corruzione instituzionale agghiacciante, la questione non è se la mobilitazione è “divertente”. Senza dubbio l’esperienze de solidarietà in questi movimienti sono formative, e una vera emancipazzione sociale dovrebe cambiare il rapporto univoco tra principio di realtà e principio di piacere, ma non al prezzo di fare della politica una questione di tempo libero o “entertainment”. Se vogliamo sentire la “densità dei corpi” meglio la cerchiamo altrove, per esempio nei macrofestival –e a Madrid e dintorni ci sono parecchi–. Se non vogliamo depoliticizzare quanto stà succedendo in Spagna, per divertirci andiamo piuttosto a Benicassim, Benidorm o Malasaña. Ma, vi prego, se vogliamo andare a la Plaza del Sol cerchiamo di essere seri.

      Vi chiedo di nuovo scuse per il mio italiano

  2. Pingback: MolecoleOnline.it » L’onda generazione e’ sempre piu’ mediterranea. Cronache da Puerta del Sol.

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