Legge elettorale, o delle transizioni italiane

Immancabile classico della politica italiana dell’ultimo triste ventennio, ecco riemergere con forza uno dei dibattiti più “appassionanti” per il centrosinistra: quello sulla legge elettorale. I bipolaristi fautori del ritorno all’uninominale maggioritario (si veda Veltroni su Repubblica del 9 luglio) insistono sulla necessità di compiere quella che comunemente definiscono come transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Transizione, cioè, da un sistema politico “dominato dai partiti”, quale sarebbe stato quello che abbiamo vissuto fino al ’92, ad uno nel quale siano i cittadini a “possedere lo scettro”, avendo il potere di determinare le maggioranze di governo, la cui composizione verrebbe sottratta al capriccio dei partiti stessi. Ma siamo sicuri che questa rappresentazione non sia fallace? No, non lo siamo affatto.

In primo luogo, perché rimuove completamente il berlusconismo, la vera Seconda Repubblica (patrimonial-populista) frutto dalla crisi democratica degli anni Ottanta. Rimuovendolo e considerandolo alla stregua di una semplice “parentesi”, come Croce faceva con il fascismo, è impossibile trarre da esso le dovute lezioni, e ci si condanna a perpetuarne i mali. Alcuni dei quali sono l’altra faccia della medaglia delle tanto sbandierate quanto discutibili “virtù” del bipolarismo all’italiana. Chiediamoci: non c’entra nulla il berlusconismo con la rozza banalizzazione di un dibattito politico ridotto a derby calcistico fra improbabili entità quali “centrodestra” e “centrosinistra”? Non c’entra nulla il berlusconismo con l’ossessione ideologica di “rafforzare l’esecutivo”? Non c’entra nulla il berlusconismo con il ridimensionamento della funzione costituzionale dei partiti e con la loro trasformazione in comitati elettorali (nel migliore dei casi)? E si potrebbe continuare a lungo. Veltroni e compagnia dovrebbero finalmente capire che Berlusconi non è stato il condottiero di un’invasione di Hyksos, che ora avremmo finalmente cacciato via: il berlusconismo è l’autobiografia della nazione.

Ma oltre a ciò, non si può ignorare come tutto il discorso dei bipolaristi a oltranza si fondi su due presupposti errati. Il primo è anch’esso intrinsecamente populistico: la presunta contraddizione fra “potere dei partiti” e “potere dei cittadini”. Partiti forti, democraticamente organizzati, che siano, come insegna Ferrajoli, non “organi dello stato”, bensì espressioni della società civile, sono il migliore strumento di cui i cittadini possano disporre per concorrere alle decisioni collettive. Non l’unico, beninteso: vi sono anche associazioni, gruppi di pressione, mezzi di informazione liberi, sindacati, oltre ad uno strumento costituzionale prezioso come il referendum. Ma chi dice che tanto più deboli sono i partiti, quanto più forte sarà il cittadino, inganna: se le forze politiche sono “leggere”, a guadagnarci sono, da un lato, i “poteri di fatto” in grado di condizionarli; dall’altro, i singoli parlamentari, che si sentiranno sempre piuttosto liberi di divertirsi a fare e disfare partitucoli “di Palazzo”. Non confondiamo: un partito “vero” non sarà mai “irresponsabile”; gli Scilipoti, i Rutelli e le Binetti, al contrario, potranno sempre sentirsi liberi, una volta eletti in partiti di plastica, di “rispondere alla propria coscienza” e cambiar casacca.

Il secondo errore fondamentale dei maggioritarofili nostrani è di credere che il bipolarismo (quando non il bipartitismo) sia, in sé, il migliore degli scenari democratici possibili. Lo si spaccia per “moderno” e per “europeo”. Un modello di una politica “efficiente”, secolarizzata, nel suo presentarsi come sistema che regola un’alternativa di soluzioni fra le quali il “cittadino-sovrano” è libero di scegliere. Se uno dei due prodotti non lo ha soddisfatto, cinque anni dopo gli preferirà l’altro. A noi pare, invece, che più che l’esercizio di una preferenza “tranquilla” fra due marche di detersivi, il bipolarismo italiano evochi una permanente notte di San Bartolomeo. O di qua, o di là. O bianchi, o neri. Schmittianamente: amici o nemici. Impossibile qualunque consenso generale, impossibile qualunque articolazione ulteriore di posizioni oltre i due blocchi. Se questa logica avesse presieduto la politica della tanto vituperata Prima Repubblica, non avremmo avuto né la legge sul divorzio, né quella sull’aborto. E poi: è davvero un segno di “modernità” se le culture politiche muoiono soffocate in grandi contenitori di plastica che si vogliono “post-ideologici”, in enormi coalizioni piglia-tutto?

In Europa, poi, siamo ben lungi dall’incontrare un bipolarismo generalizzato. Non c’è in Germania, ad esempio, dove una ricca articolazione politica ed un forte ethos della discussione rendono possibili costellazioni di governo le più diverse: verdi con democristiani, socialdemocratici con liberali e verdi o con verdi ed ex-comunisti, o la Groβe Koalition. In Spagna, dove i socialisti attualmente al governo hanno già una doppia opposizione, di sinistra e di destra, gli indignados hanno fra le loro rivendicazioni principali un sistema elettorale da cui risulti una Camera dei deputati più rappresentativa e pluralistica. Richiesta accolta dal nuovo leader socialista, Alfredo Pérez Rubalcaba, nel suo discorso d’investitura da candidato alla Presidenza: nel programma del PSOE ci sarà la proposta di modifica della legge elettorale prendendo come esempio (guarda un po’!) il sistema tedesco. O si osservi, infine, il Parlamento europeo: fra popolari, liberali, socialisti, verdi e comunisti si configurano di volta in volta maggioranze differenti. Non essere ingabbiati in fronti contrapposti rende la politica migliore, più laica, meno incline a trasformarsi ad ogni pretesto in una guerra civile verbale fra opposte ideologie.

Se proprio si vuole usare l’immagine della transizione, insomma, bisognerebbe cercare il passaggio non alla Seconda, in cui siamo già, ma alla Terza Repubblica. Aggredendo, insieme, i problemi antichi e quelli che ha fatto emergere il Ventennio berlusconiano. All’eccesso di instabilità si può rispondere con una soglia di sbarramento. All’irresponsabilità (in senso tecnico) dei partiti si può rispondere con una legge che, come in tutta Europa, ne regoli il funzionamento, rendendoli davvero democratici. Al trasformismo dei singoli parlamentari c’è rimedio solo con un’iniezione potente di etica pubblica. Alla distanza fra rappresentati e rappresentanti si può ovviare, ad esempio, con le primarie.

Ma non ci si dica, per favore, che la spartizione dei candidati nei collegi uninominali decisa a tavolino dai cosiddetti sherpa dei “partiti” fosse un’espressione del “potere dei cittadini”. Lo spettacolo del ranking dei “collegi sicuri” o dei “collegi difficili”, consueto nelle trattative pre-elettorali della presunta golden age del Mattarellum, non era più edificante della composizione delle liste bloccate attuali. Cambiare il Porcellum è fondamentale, certo: ma conviene farlo senza costruirsi falsi idoli.

(Jacopo Rosatelli)

21 commenti

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21 risposte a “Legge elettorale, o delle transizioni italiane

  1. paolo hutter

    jacopo ma perchè bisognerebbe cambiare il porcellum?
    per mettere le preferenze suppongo..
    e il vantaggio qual’è?

    • jacopo r

      Caro Paolo, il Porcellum è il peggiore dei sistemi elettorali possibili, con evidenti profili di incostituzionalità, come ha di nuovo ricordato Zagrebelsky l’altro giorno sul sito di Libertà e Giustizia. Il problema fondamentale, ancor più delle orrende liste bloccate, è il mostruoso premio di maggioranza.

      • massimo

        Caro Hutter,
        le liste bloccate sono il “cancro” dell’attuale sistemma elettorale che consente, ad opera dei partiti, di decidere chi andrà in Parlamento senza avere alcuna legittimazione da parte degli elettori.
        E ciò è ancora più grave per la carenza di democrazia all’interno delle organizzazioni politiche in un sistema paese che è lontanissimo dall’attuazione dell’art. 49 della Costituzione.

        “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”

        nonchè dell’art. 51 della Costituzione

        “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”

        E la presenza in parlamento di soggeti vicini alla mafia, oltre alle starlette e frequentratrici dei “bunga bunga” ne sono le dirette conseguenze

  2. Barkokeba

    Ragazzi, non c’è niente da fare, il problema è politico! Le regole, per carità, sono importantissime ma, alla fine, la seconda repubblica è quella che è perché le idee e gli intenti dei partiti sono state quelle che conosciamo. Guardiamo il caso dei comuni: ci sono state luci ed ombre, ma in generale non si è assistito a un grande riformismo comunale opposto alla pochezza nazionale. Più che altro, all’inizio si sono viste tante novità, ma poi la mediocrità è andata prevalendo. La parabola di Rutelli è paradigmatica. Le regole contanto, ma fino a un certo punto. O la politica italiana si fa venire in mente qualcosa di nuovo, o il paese non ne esce dalla crisi.

    • jacopo r

      Condivido, per carità! Il problema è: se buona parte della classe politica di centrosinistra non fa che occuparsi spasmodicamente di leggi elettorali, facciamo finta di niente o proviamo a dire la nostra? Anche attraverso il dibattito sulle regole si può cercare di veicolare una cultura politica progressista. Ma è ovvio che chi si ferma ai trastulli sulle virtù dei sistemi tedesco, francese o ungherese è perduto…

  3. cecilia d'elia

    Premesso che credo abbia ragione da vendere Barkokeba, questo sistema è orribile, riduce gli eletti a nominati dal capo (quasi sempre maschio). Quindi ben venga una riforma, io penso però che sia sbagliato eliminare il vincolo di coalizione. E’ un ritorno indietro che non corrisponde più al comune sentire, non a caso abbiamo sempre parlato di necessità di ricostruire il centrosinistra e di inadeguatezza di tutti i partiti esistenti (almeno io). Piuttosto non basta elimare il porcellum, vanno poi costruiti strumenti di partecipazione per determinare i candidati. Comunque nei collegi si esprimeva un rapporto con il territorio che oggi è totalmente scomparso.

  4. giordana

    Il protagonismo dei bipolaristi di questi giorni è puramente strumentale. Hanno proposto un referendum che, vista la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, sarà, molto probabilmente, giudicato inammissibile, con il solo risultato che si tornerà a votare con il “porcellum” e così saranno tutti contenti: di nuovo tutti nominati dalle segreterie di partito (come se con i collegi si potesse scegliere, invece…si salva giusto un po’ il rapporto – imortante – col territorio) e un bel premio di maggioranza che oggi, i “grandi statisti” dell’opposizione si sentono già in tasca.
    E vorrei ricordare ai grandi sostenitori di vincoli di coalizione, indicazione di candidati premier, ecc. che 1. con il mattarellum i salti di barricata ci sono stati con relativi cambi di governo durante la stessa legislatura 2. che siamo ancora una repubblica parlamentare e non presidenziale, i cittadini eleggono il parlamento, non il presidente del consiglio.

    • barkokeba

      La cosa più semplice e consona a come è fatta la politica italiana sarebbero i collegi uninominali a doppio turno. La personalizzazione della politica sarebbe bilanciata dalla responsabilità politica verso gli elettori e dal rapporto con gli elettori, che non sarebbe prerogativa del capo. I partiti non sparirebbero, perché sono strutture che aiuterebbero gli eletti ad avere contatto con gli elettori e a non giocare in proprio. Numerosi modelli di partito sarebbero possibili, dai comitati elettorali al partito di massa vecchio stile (ammesso che qualcuno ancora voglia farne parte…). L’impostazione parlamentare della nostra costituzione verrebbe rivalutata. Ma i problemi politici – per cui le maggioranze ci sono se la maggioranza degli eletti ha intenti comuni, non se per qualche prescrizione di legge si rendono obbligatorie coalizioni – be’ … quei problemi rimarrebbero tutti, come dicevo prima.

      • giordana

        Personalmente, credo che il problema sia proprio la personalizzazione della politica (a scapito delle idee e dei programmi). E Il fatto che il doppio turno funzioni per gli enti locali non vuol dire che sia necessariamente la soluzione migliore (oltre ai costi che comporterebbe). Sarò poco ottimista, ma ci sarebbe il “mercato delle vacche” per ogni collegio

  5. Sono tra i sostenitori del referendum pro mattarellum. Non sono mai stato veltroniano. Questo come premessa.
    Rispondo su tre punti.
    1) Hyksos. Se c’è qualcuno che pensa al Berlusconismo come all’invasione degli Hyksos sono proprio coloro che, come i Giovani Turchi a settembre, o Massimo D’Alema, ritengono sia possibile una restaurazione proporzionalista e partitocentrica del sistema politico italiano. Il paradosso che oggi sono proprio loro i nuovi Benedetto Croce , che vorrebbero tornare allo stato che fu senza rendersi conto delle trasformazioni avvenute nella società. La principale di tutte è la personalizzazione della politica. Di cui Berlusconi è un emblema ma non è il solo. Il metodo delle primarie ad esempio implicitamente riconosce il principio della personalizzazione della politica.
    2) partiti. Non è Berlusconi ad aver ridotto i partiti a comitati elettorali. E’ la storia. Parlare di “partiti nella società” è una cosa molto nobile e bella, ma non esiste più. i partiti oggi sono “nello Stato” sono parastato. Se fossero “nella società” vivrebbero dei soldi e delle donazionni della società, ma siccome vivono “dei soldi dello S tato” sono di fatto parastato. La cosa migliore che posasono fare allora è mettersi al servizio delle istituzioni. In questo senso il collegio uninominale e le primarie rappresentano innovazioni importanti per mettere in relazione cittadini e istituzioni. Penso in questo senso agli Stati uniti.
    3) Esecutivo. Pensare che Berlusconi abbia fatto il minimo sforzo per rafforzare l’esecutivo sul piano istituzionale e costituzionale è un’illusione ottica dovuta alla sua lunga permanenza al governo. Roberto Ruffilli è uno che ha speso la sua vita professionale nel cercare di rafforzare l’esecutivo. E infatti lo hanno accoppato. A Berlusconi questa costituxzione che regola molto poco alla fine va bene. Non l’ha mai veramente voluta cambiare. E’ da riflettere su quanto non si sia speso per difendere la riforma costituzionale del suo secondo Governo. Onestà vorrebbe riconoscere che sul piano costituzionale il governo in italia non conta un fico secco mentre abbiamo il Parlamento sulla carta più forte d’Europa e nella coscienza dei cittadini più screditato d’Europa. E pensiamo ancora che questa democrazia parlamentare possa avere un grande futuro?

    Giorgio Benigni

  6. Barkokeba

    Cara Giordana, caro Zorzo, il fatto rilevante della personalizzazione non è se piaccia o meno, ma che è un fatto da riconoscere. E non è una cosa italiana: da noi un grande interprete, anche se non l’unico, è stato Berlusconi. Ma il fenomeno c’è dappertutto. Ci sono anche altri fenomeni di emergenza di entità collettive e di movimenti (i referendum di cui si è tanto parlato, SNOQ, ma non solo…). Quindi non bisogna decidere rispetto a una passato ricordato – spesso immaginato – come migliore: la fine della prima repubblica è stata ingloriosa, e bugiarda rispetto ai tanti successi che pure erano stati conseguiti. Bisogna pensare al futuro dei partiti in maniera nuova. Ma anche la vulgata “societàcivilista” riportata in auge recentemente non mi convince. Andava bene alla fine della prima repubblica, in antitesi alla crisi di quei partiti, non dei simulacri odierni. Non che non veda – o non ci sia il nuovo. Ma la politica non se ne è ancora accorta…

  7. Valerio

    Quando si discute di legge elettorale divento ideologico e ne vado fiero.
    Perché sono un proporzionalista convinto e lo sono perché è il sistema più democratico, ovvero l’unico che permette una rappresentanza anche alle minoranze.
    Credo che la democrazia vada difesa e raafforzata innanzi tutto avendo uno sistema parlamentare che utilizzi gli strumenti più democratici possibili.
    Il maggioritario, o le elezioni a doppio turno, sono nati (tra l’altro in sistemi non democratici sette-ottocenteschi) proprio per affossare la democrazia e permettere la governabilità, esigenza che è un ossessione delle classi medio-alte insofferenti al dibattito.

    Anche per questo è importante che lo sbarramento sia basso, (già il 3% mi sembra altissimo), perché con uno sbarramento basso si permette anche ai partiti “anti-sistema” o agli innovatori di avere visibilità e spazio in parlamento. Redndendo più difficile la dittatura della maggioranza.
    Non credo che i Radicali, i Verdi, lo PSIUP, o DP, pur con tutti i loro limiti, siano state esperienze negative e da cancellare per questo paese.
    In Germania lo sbarramento al 5% fu infilato a inizio anni ’50, proprio per mettere fuori legge il locale partito comunista (che mi sembra arrivasse al 4%), ma c’era la guerra fredda e i russi erano a Berlino.
    Ora se un partito, non importa quale, ha il 5% di voti a livello nazionale deve essere escluso o marginalizzato? è il popolo che l’ha votato e in un sistema democratico il popolo conterà qualche cosa?

    La forma è sostanza, un parlamento di nominati, o un bipartitismo forzato, o un sistema a collegi, portano alla ribalta i mediocri, i cinici, gli affaristi, i signori del vapore, i gestori di clientele. Quando nel 1947 i padri costituenti scelsero il proporzionale dimostrarono di conoscere questo paese, averne capito l’autobiografia e di credere in un sistema non bipolare perché il bipolarismo può portare a delle guerre civili striscianti in questo paese.

    Piuttosto, per snellire il processo legislativo, occorre un monocameralismo secco e puro, il nostro senato è ormai il parlamento europeo.
    Il monocameralismo è la vera riforma urgente da fare, non aboliamo le provincie, aboliamo il senato!

  8. Barkokeba

    Valerio, ma che stai a di? Affermi: “permettere la governabilità, esigenza che è un ossessione delle classi medio-alte insofferenti al dibattito.” Così ora sappiamo che la classe operaia non è interessata al governo ordinato del paese (l’unico approccio che può permettere di dare il giusto a chi ingiustamente non ha).
    C’è un solo argomento vero a favore del proporzionale, che però non hai detto, ma che mi suggerisci: nella prima repubblica, il proporzionalea non funzionava per la conventio ad escludendum contro il PCI. Per cui, alla fine, le maggioranze non erano contendibili.
    Non banalizziamo l’uninominale: è un principio per cui hai un solo rappresentante di tutto il popolo del collegio, A doppio turno garantisci che lo voglia la maggioranza. Il proporzionale puro fa si che vengano rappresentati i piccoli e gli innovatori, ma anche i capibastone. I sistemi uninominali non sono, poi, così bislacchi. Bisogna decidere tra due interpretazioni del principio di rappresentatività (un rappresentante per tutto il colleggio, oppure ognuno ha il suo beniamino). Però, il proporzionale presuppone l’esistenza dei vecchi partiti, che tuttavia non ci sono più. L’uninominale a doppio turno potrebbe mettere sotto controllo democratico la personalizzazione della politica e le sue degenerazioni…

  9. Valerio

    Innanzi tutto io sono un vecchio dentro che vede nel parlamento il potere legislativo e non quello esecutivo, quindi non è il parlamento l’organo che deve essere messo in croce per arrivare alla governabilità.
    In un parlamento dove sono presenti 6-9 partiti (veri) alla governabilità si arriva tramite nobili compromessi, in uno dove ne sono presenti 2-3 c’è chi governa e chi fa opposizione, e questo è il modello che piace ad alcuni, tra cui, da sempre, i conservatori, almeno fin tanto che sono in maggioranza.
    Anche perchè i “partiti di scopo” o i “pariti nuovi” non arrivano a disturbare i manovratori.

    In secondo luogo insisto, un sistema come quello uninominale priva della rappresentanza milioni e milioni di cittadini e depotenzia le loro idee e la loro partecipazione.
    Che senso ha votare se io sono un militante del terzo o del quarto partito di un colegio? Tanto vince o il primo o, ogni tanto, il secondo.
    è democrazia questa in cui posso scegliere solo tra Coca Cola e Pepsi?
    Certo se il mio partito si chiama Pepsi sono ben contento che il sistema bastoni il Chinotto, ma almeno non diciamo che il sistema che bastona il Chinotto è ideale e quello che lo lascia esistere depotenzia la governabilità.

    Quell’unico rappresentante non rappresenta affatto tutto il popolo del collegio, ma al massimo i suoi elettori (se ci va bene), ed è molto facile che si trasformi in un signorotto locale.
    Guardiamo all’Inghilterra o, peggio ancora, agli USA, non mi sembrano sistemi esemplari per democraticità. Ed i loro sistemi elettorali sono vecchissimi, quello inglese, riformato più volte, è addirittura medievale.

    I capi bastone ci saranno sempre (o quasi), ma possiamo dirci che con l’uninominale (a uno, due o tredici tornate elettorali) sono sfovoriti, oppure ammettere che un elezione personalistica tende a favorirli un po’ di più di un’elezione in cui si scontrano dei partiti e non degli individui, e quindi dei programmi e delle ideologie e non, solo, delle facce.
    Detto questo la preferenza permette il perpetuarsi dei capi bastone, ma anche l’emergere della leadership, e affossa le persone impopolari.

    • Barkokeba

      Valerio, affermi: “ammettere che un elezione personalistica tende a favorirli un po’ di più di un’elezione in cui si scontrano dei partiti e non degli individui, e quindi dei programmi e delle ideologie e non, solo, delle facce”.
      Il punto è questo: i PARTITI NON CI SONO PIU’, quindi gli eventuali scontri sono ipotesi di scuola. La questione è questa. Il resto è astrazione. Un’Italia con un sistema di partiti come quello del 48 ma senza conventio ad excludendum sarebbe perfetto. Lo vedi oggi in Italia?
      La governabilità ha a che fare con il parlamento perché siamo una repubblica parlamentare, e molti atti di governo avvengono tramite le leggi. Discutere va bene… Ma su questo, sono d’accordo tutti. Ci vedo un eccesso di nostalgia nel tuo approccio

      • Valerio

        I partiti non ci sono più… oppure no.
        Perchè c’è ancora tantissima gente in questo paese che nei partiti crede e lavora.

        Abbiamo alcune anomalie che hanno contribuito ad affossare il modello partito (porcellum, Berlusconi, partiti instabili che non resistono a tre tornate elettorali ecc. ecc.), alcune sono orami strutturali, ma altre non sono destinate a durare per sempre.

        Ammetto di essere nostalgico della vecchia legge elettorale pre ’93, ma era una ottima legge elettorale, e non ha funzionato male.
        La prima repubblica, con tutti i suoi limiti (persino quelli di sovranità nazionale), era molto meglio della seconda, non è nostalgia, è una costatazione. C’erano persino meno conadannati in via definitiva che sedevano in parlamento.

  10. jacopo r

    Per cominciare grazie a tutti per i contributi. Velocemente provo a dialogare con alcuni punti di vista emersi.
    Sulla personalizzazione come “dato di realtà”. Concordo e devo dire che la cosa non mi turba affatto. Preferisco la personalizzazione alla politica impersonale dei “mercati” o dei “tecnici”. Dipende, però, se la personalizzazione si mangia le culture politiche, come a volte succede: cosa che non è detto, tuttavia, che debba capitare per forza, come i nostri paesi vicini dimostrano.
    Il mio problema non è nemmeno il maggioritario in sè: ma, anche in questo caso, dipende da come si passa dal principio alla realtà. Per questa ragione ho cercato di porre l’attenzione sugli argomenti che vengono utilizzati dai pasdaran alla Veltroni (non da tutti, sia chiaro) per giustificare il ritorno al Mattarellum. Argomenti che, a mio giudizio, non reggono. Dico una cosa per tutte: i candidati nei singoli collegi del Mattarellum, se non si fanno le primarie o i partiti non sono obbligati a democratizzarsi, non sono meno “nominati” di quelli del Porcellum. Ci ricordiamo le prodezze dei Diliberto e dei Marco Rizzo, o dei Lamberto Dini, candidati nei collegi blindati dell’Emilia e della Toscana?
    Quanto alla democrazia parlamentare e al vincolo di coalizione, direi questo, molto semplicemente. Io sono dell’idea che le coalizioni “necessitate” non funzionino. Servono coalizioni vere e serie. Mi sembra sia una lezione da trarre dalla cosidetta Seconda Repubblica. E’ anche vero che l’instabilità della Prima Repubblica (un’instabilità curiosa, dal momento che hanno governato sempre gli stessi, ma lasciamo perdere…) non è certo un bene. E allora? E’ utopico pensare a coalizioni che si formino prima o dopo le elezioni in virtù di scelte politiche e non di marchingegni elettorali? In Germania, molto spesso capita che i partiti annuncino le intenzioni di coalizione prima del voto; in altri casi, invece, si lasciano liberi di agire dopo. E nessuno si sente defraudato, nè in un caso, nè nell’altro.
    Un altro argomento dei bipolaristi maggioritari ad oltranza è che il sistema da loro promosso è l’unico che non lascia il pallino in mano al centro. Ma siamo sicuri? Ho la sensazione che Casini sarebbe capacissimo di adattarsi ad ogni circostanza, maggioritario compreso. Direbbe: “mi volete con voi perchè siete convinti che vi faccio vincere? Bene, fa trenta collegi, grazie”.
    Insomma. Non sono un nostalgico della “prima repubblica” (à la D’Alema-Casini), nè un sostenitore della “seconda” (à la Veltroni-Berlusconi). Possiamo far tesoro dell’esperienza e provare a fare qualcosa di meglio?

  11. Barkokeba

    Valerio, non so quanti anni tu abbia, ma quello che dici indica una assenza di memoria. I partiti della prima repubblica – nell’ultima fase, per intenderci gli anni ’80 – erano tremendi. Erano gli anni di Craxi, De Mita, Andreotti. Il PCI era guidato da Natta (per carità, brava persona, ma non aveva la stoffa del grande segretario) e poi da Ochetto… Qualche giorno fa c’era la curva del debito pubblico pubblicata su Repubblica (12 luglio, pg.4). Indica bene la crisi della prima repubblica, ma anche della seconda! E il sistema non è caduto per le anomalie che dici tu, che sono tutte post ’92. Il sistema si è incartato da solo, perché era marcio. Quello che è avvenuto dopo è stato una cattiva risposta a un problema che c’era comunque (a meno di non sostenere che la causa del prima la si trova nel dopo…). La cosa andrebbe, naturalmente, approfondita – le cause della crisi della prima repubblica e la crisi della seconda – ma questo che dico in tema di prima e dopo è difficilmente smentibile. Il che implica che quanto proponi in tema di partiti non funziona. A meno che tu non voglia sostituire una sistema in crisi con un altro anch’esso in crisi, ma che ormai non esiste più. No, proprio non funziona…

  12. La ratio del sistema proporzionale in Italia è inscindibile dalla “conventio ad excludendum”. Proprio perchè c’erano partiti impossibilitati ad andare al governo era necessario un sistema massimamente rappresentativo. Quando invece questa è finita e tutti possono effettivamente “concorrere liberamente a determinare la politica nazionale” allora ipso facto la palla passa dal Parlamento al Governo. l’obiettivo non è più andare in parlamento, l’obiettivo è andare al governo. Questo e non altro per me è il senso da preservare dell’Italia post ’89. Senza santificare nessun sistema eletotrale.
    Per quanto riguarda il modello tedesco rilevo che non esiste nessuna proposta di riforma costituzionale da parte di alcun gruppo parlamentare depositata nei due rami del parlamento che avvicini la forma di governo italiana alla forma di governo parlamentare razionalizzato della Germania. Con buona pace dei filotedeschi… posso dire che non mi viene istintivamente da fidarmi di chiunque voglia spacciarmi il mitico “sistema tedesco” solo come sistema elettorale e non istituzionale?
    Quanto poi al “far tesoro delle esperienze e provare a fare qualcosa di meglio” noi con http://www.gazebos.it ci stiamo provando. Quando volete approfondiamo.

    • Barkokeba

      Caro Zorzo, più che la ratio di quel sistema, quello che descrivi era il motivo per cui, alla fine, il sistema è durato così a lungo pur essendo molto difettoso. Permettimi di sottolineare che il tuo ragionamento è una semplificazione da tarda seconda repubblica: quando la costituzione parla dei partiti, lo fa perché “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La costituzione (che converrebbe citare correttamente) riconosce nell’organizzazione di tipo partitico il tramite tra il singolo e lo stato. Si può discutere se sia giusto o sbagliato quanto viene detto, che però rimane chiaro. Il parlamentarismo non è una cosa inventata per dare il contentino ai comunisti. Che poi ai comunisti sia piaciuto in quegli anni anche per questo, be’, ci sta tutto. Ma la ratio del parlamentarismo consiste in una visione dei contrappesi e nel fatto che la politica non si esaurisce nell’elezione del governo, come affermi. Ci sono tante decisioni da prendere (pensa alla gestione di un crisi economico-finanziaria come la attuale) per cui non tutto si risolve nel momento elettorale.

      Sono d’accordo con te, non santifichiamo nessuno sistema. Penso che un meccanismo uninominale a doppio turno farebbe in modo che la classe dirigente fosse selezionata meglio che con le cordate attuali o quelle della prima repubblica. La responsabilità politica – e per questo eviterei il limite dei due mandati, con buona pace di grandi riformisti à la Grillo e Di pietro – sarebbe un efficace strumento per rendere il parlamento efficace e non piegabile alle ambizioni di questo o a quel leader. I partiti, se lo volessere, potrebbero diventare strutture a servizio di questi candidati e promotrici di un’azione comune tra loro (le politiche in parlamento vengono fatte da maggioranze, quindi un soggetto collettivo continua ad avere un senso). Potrebbero fare una cosa che il candidato da solo non può fare, e cioè consentire che il contatto tra eletti ed elettori continui anche dopo le elezioni. Insomma, se solo si volessero tutte queste cose si potrebbero fare con pochi articoli di legge. Al limite facendo come suggerito da Zagrebelsky (senza cercare visibilità referendarie…). Ma ci vorrebbe tanta volontà politica. Proprio a volerlo, si potrebbe iniziare già da ora, senza una nuova legge elettorale. Il partito che ha inventato le primarie, il PD, infatti, potrebbe organizzarle per decidere i posti più in cima delle sue liste. Volendo, di cose da fare ce ne sarebbero tante… I referendum elettorali non mi sembrano una grande idea

  13. francesca gruppi

    premesso il mio totale smarrimento non appena si entri in ambito di sistemi elettorali, e dunque ammettendo di non avere le idee chiare, mi sorge però un dubbio rispetto al ritorno al proporzionale, che pur mi parrebbe idealmente la soluzione migliore: al di là di casini, con un centrosinistra così subalterno che genere di governi ci sarebbero senza vincolo di coalizione? fai bene, jacopo, a guardare alla germania, ma qui da noi mi sembra che al posto di una solida e rodata capacità di compromesso vigano piuttosto l’arte dell’inciucio, il riflesso condizionato a calare le braghe, un’insana passione per il centro (non-luogo per eccellenza), la pericolosa tendenza a confondere “responsabilità”, “pragmatismo” e “riformismo” con l’accettazione acritica dell’altrui linea, e scarsa, scarsissima memoria della lezione gramsciana sull’egemonia culturale. ma forse, banalmente, tutto ciò non si risolve modificando una legge elettorale…

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