Ecco come la TV della mattina parla di matrimonio e aborto

Per mezzo della televisione, il centro ha assimilato a sé l’intero paese. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi modelli agli italiani. […] Ciò impedisce al vecchio uomo che è ancora in loro di svilupparsi. Ne deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. Così Pier Paolo Pasolini descriveva (1974) gli effetti dell’omologazione culturale di cui era stata strumento la televisione. Oggi, i membri del governo presenti alla conferenza nazionale della famiglia ci offrono un’immagine di questa che ci sembra più che mai ideologica ed artificiale. La televisione attuale ha delle responsabilità nell’offerta di un simile modello?

Per rispondere, e per comprendere meglio obiettivi e strumenti di una certa rappresentazione della realtà, abbiamo analizzato due approfondimenti di Unomattina sul matrimonio e l’aborto. Si tratta di un programma a cura della redazione del Tg1, che va in onda quotidianamente dalle 6.30 alle 10, e che occupandosi (seriamente) di temi che spaziano dalla cultura alla società alla politica all’economia, raccoglie davanti al teleschermo circa un telespettatore su quattro.

Discutono di matrimonio (18 ottobre) Vittorio Sgarbi (è forse l’unico momento della giornata in cui non parla di Avetrana), che interpreta il ruolo “contro”, e Roberto Gervaso, ex braccio destro di Licio Gelli e dunque promosso a esperto di costume, invece “a favore”. Durante il dibattito apprendiamo, e nessuno obietta a queste affermazioni, tantomeno la decorativa conduttrice Eleonora Daniele, che oggi il matrimonio è consumistico per colpa del divorzio; che il matrimonio civile è assurdo; che gli uomini tradiscono involontariamente e le donne volontariamente (ma qui ci scappa un “vabbè”); che all’uomo dovrebbe essere consentita la poligamia. E poi: che il sesso è una perturbazione della coppia perchè la moglie dovrebbe essere per il marito come una madre, e che tanto vale rinunciarvi perchè è esecrabile, comporta tanta fatica e un piacere breve. Questa affermazione di Gervaso (sottolineata da un “Roberto, sei meraviglioso”) chiude la discussione, che non tocca altri punti.

La puntata che l’informazione pubblica dedica all’aborto (10 febbraio) si apre invece con la lettera di un uomo, accompagnata da immagini di paternità con sottofondo di pianoforte, che accusa la moglie di voler abortire e la legge italiana di tutelare solo le donne: “la donna è donna-coraggio, il padre è solo un poveraccio”. La delicatezza del tema merita la moderazione di Michele Cucuzza in persona; accanto a lui Stefano Zecchi, in qualità di neopapà e ex assessore Pdl a Milano; la sessuologa Chiara Simonelli (amica di Silvio); e infine Andrea Roncato, attore, abortista pentito e oggi entusiasta sostenitore del Movimento per la Vita (di cui pubblicizza il cd). Le parole di Roncato “la vita non vuole l’egoismo, viene prima della decisione della madre” segnano emblematicamente la fine del dibattito (in realtà unidirezionale).

La tv di stato del 2010 corrisponde alla perfezione alla descrizione profetica di Pasolini: i temi della famiglia, dell’amore e della coppia vengono trattati in maniera preconcetta e artificiale perché un solo modello, funzionale a una parte politica, venga presentato come corretto e apprezzabile. L’altra sua caratteristica fondamentale, risultato del trentennio di egemonia culturale berlusconiana, consiste nella passivizzazione totale del ruolo della donna: uomini (anziani) parlano di matrimonio e di sesso; uomini (antiabortisti) dicono cos’è l’aborto; la conduttrice annuisce senza capire. Il tutto accade in un programma destinato in buona parte a un pubblico femminile (sono le 9.40 del mattino), che riceve – e assorbe? – di sè stesso un’immagine parziale e strumentale, elaborata essenzialmente da uomini. È lo stesso paradosso evidenziato da Lorella Zanardo nel suo bellissimo documentario, in relazione al corpo.

Proprio la televisione, che accanto alla politica ne è uno dei cardini, è l’ambito in cui si è sofferto di più il regresso sociale che questa operazione culturale ha comportato; l’involuzione di entrambe è stata speculare in termini di ruoli e simboli proposti come vincenti (qui un’analisi di Emanuela Sala su come l’influenza femminile in Parlamento continui a diminuire nonostante un aumento percentuale della rappresentanza).

Allo stesso modo, le armi che finora l’opposizione dei partiti ha messo in campo per combatterla sono state spuntate o inadatte: lo sappiamo bene dal punto di vista politico, ma vale anche per quello culturale. Le uniche battaglie combattute hanno riguardato l’esistenza o no di certi talk show, la presenza di alcuni giornalisti, i minuti di esposizione dei leader al tg, mentre ci si è dimenticati di contrastare (o ci si è lasciati conquistare) dalla visione sociale d’insieme somministrata dalla tv berlusconizzata, di cui gli approfondimenti di Unomattina sono un ottimo esempio – tanto più che i compensi economici dei suoi ospiti non sono mai stati messi in discussione da nessuno.

Se da questa visione dovessimo giudicare l’Italia, ne concluderemmo che il contributo femminile alla crescita civile del paese è zero. Per fortuna, una significativa parte della società ci dimostra il contrario. L’arrivo di Susanna Camusso alla testa del più grande sindacato fa il paio con la direzione femminile della più grande associazione di industriali: una situazione non comune in giro per il mondo e che dimostra almeno una presa di coscienza più generale dell’incredibile sottorappresentazione di una parte della società ai più alti livelli decisionali, di cui l’universo femminile costituisce uno dei casi più evidenti.

Perciò, ogni alternativa politica che voglia essere sostanziale non può evitare di affrontare questa piaga aperta nella nostra società, naturalmente proprio a partire dalle politiche economiche e sociali. E inoltre, dal punto di vista della pari rappresentanza effettiva (non solo numerica), con l’applicazione su larga scala dei principi del “bilancio di genere”, finora sperimentati a livello locale in Lazio, Piemonte, Puglia. Infine, in ambito culturale, non si dovrebbe prescindere da un’incisiva operazione che investa la scuola, la pubblicità e la televisione, almeno quella pubblica. La Spagna (Legge di Uguaglianza) ci ha pensato nel 2007.

(Riccardo Pennisi)

1 Commento

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Una risposta a “Ecco come la TV della mattina parla di matrimonio e aborto

  1. barkokeba

    Caro Riccardo, non si può non notare che il sindacato e gli industriali si danno leadership femminili, ma la politica non riesce a fare lo stesso.
    Metti in evidenza anche una altra cosa, secondo me importante, e cioè che sui temi cari alla sinistra non si riesce a produrre un’egemonia culturale oltre che politica. Si è discusso di questo in relazione a un’altro post – su “essere maschi”. Secondo me è che la sinistra politica non è riuscita a “lasciar fare” i suoi alleati in campo culturale.
    Quando si dice dei ritardi della politica…

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