Alle parole devono seguire i fatti: è una vecchio criterio di giudizio per verificare la credibilità di qualunque partito politico o Governo. Anche nel caso del Partito Socialdemocratico tedesco, che ha celebrato lo scorso fine settimana a Dresda il suo congresso dopo la disastrosa sconfitta elettorale di settembre, non c’è ragione di non attenersi a questo saggio principio di prudenza, prima di sbilanciarsi in giudizi affrettati. Eppure, in politica, è altrettanto vero che “le parole” (o si legga: le idee) possono essere il primo di una serie di “fatti” in grado di incidere sugli assetti sociali. Da un partito a corto di visione, di idee-forza, di strategia, cioè, non ci si può aspettare, insomma, una buona politica: sarà sempre destinato a suonare la musica dello spartito scritto dall’avversario.
Può essere quindi interessante, per noi italiani di sinistra abituati ormai alle sconfitte e all’egemonia culturale della destra, capire meglio come la SPD ha reagito alla débâcle elettorale che l’ha portata al suo minimo storico dal dopoguerra ad oggi (il 23%), dopo undici anni di Governo, di cui sette con i Verdi (che sono in buona salute) e quattro con la CDU (che ha vinto quasi “senza giocare”). E lo si può fare, per ora, analizzando il discorso di investitura del nuovo segretario, Siegmar Gabriel, e le deliberazioni congressuali. Parole, come si diceva: dalle quali, tuttavia, si evincono indicazioni che appaiono molto significative – alcune delle quali, fra quelle più utili per un confronto con il nostro paese, verremo ora velocemente presentando.
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