Paese che vai, Vergangenheitspolitik che trovi. L’espressione tedesca, che significa «politica del passato», fa parte del lessico che gli specialisti usano per descrivere tutte quelle forme pubbliche di elaborazione del passato, in vario modo ispirate da un fine politico. Non a caso si una un vocabolo tedesco: è in Germania, infatti, più che in ogni altro paese europeo, che gli intellettuali, cimentandosi con l’elaborazione dei crimini del nazionalsocialismo, al fine di costruire la nuova società democratica su basi più solide, hanno sviluppato teorie e interpretazioni al riguardo. Qualunque società conosce le sue specifiche forme di confronto con il passato, che può essere, di volta in volta, sacralizzato, dimenticato, modificato a piacimento. Quasi sempre, un’identità collettiva – sia essa nazione, partito o altro – deve costruirsi una storia, deve saper indicare “da dove viene”, deve poter esibire figure esemplari di fondatori, deve dotarsi di rituali per fomentare la solidarietà e il senso di appartenenza fra i suoi membri. Il nostro paese ha, anch’esso, la sua Vergangenheitspolitik. O, per meglio dire, diverse ipotesi concorrenti sul passato si disputano fra di loro il consenso della pubblica opinione: una delle maggiormente agguerrite è quella che, in questi giorni, ruota attorno alla figura di Bettino Craxi, di cui ricorre il decennale della scomparsa.
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