I ricercatori e la riforma Gelmini (o “del prendere coscienza di sé”)

Merita di essere rielaborata la vicenda del movimento universitario di questi ultimi mesi: affogata da notizie apparentemente più grandi, non ne sono stati apprezzati fino in fondo i meriti e i risultati (seppur provvisori e non soddisfacenti) di quello che sembra un giro di boa della mobilitazione, della discussione pubblica sull’università e dell’iter parlamentare della riforma contestata.

Partiamo dall’ultimo fotogramma. Giovedì 14 ottobre era fissato l’inizio del dibattito nell’assemblea della Camera sul disegno di legge Gelmini per la riforma dell’università. Al suo posto, nel piazzale antistante Palazzo Montecitorio, si è svolta una festosa manifestazione di studenti e ricercatori: l’esame del ddl oggetto della protesta e della contestazione era appena stato rinviato sine die. Torniamo ora all’inizio.

1) Di fronte alla crisi del sistema universitario nazionale, alle campagne di stampa che ne evidenziano l’inadeguatezza e le degenerazioni, il Governo Berlusconi – sin dai suoi esordi – ci mette il carico da 11, mettendolo al centro di successive manovre di finanza pubblica che portano gran parte delle università italiane sul lastrico o in procinto di caderci. Nel frattempo, il Ministro Gelmini, sollecitata da opinionisti moralisti e interessi superficiali, avvia una sua campagna politico-ideologica contro i mali dell’università, identificati negli sprechi delle autonomie e nei poteri delle baronie. Il massacro finanziario dell’università diventa così, nella propaganda di regime, l’occasione per redistribuire – su basi “meritocratiche” – il finanziamento delle università italiane. I tagli assumono, quindi, il sapore di una scelta strategica, condita di provvedimenti pubblicitari, come la nuova disciplina dei concorsi da ricercatore – voluta, fortissimamente voluta – da Francesco Giavazzi e dal Corriere della Sera: per impedire il condizionamento baronale sui futuri concorsi da ricercatore, dalla fine del 2008 le commissioni di concorso sono composte solo da ordinari (gli unici che possano fregiarsi del titolo di “baroni”).

2) Conseguentemente, la campagna si sostanzia in un progetto di riforma che (contro lo strapotere dei rettori) affida quasi tutto il governo dell’università nelle mani dei rettori e (contro lo strapotere dei baroni) affida ai soli ordinari i pochi poteri elettivo-rappresentativi all’interno della comunità universitaria. Poi, per far contenta Confindustria, si aprono i Cda a quel privato che in Italia non ha mai voluto investire sull’alta formazione e sulla ricerca, e per far contenti i “meritocrati” si delinea la tenure track alle vongole, per cui i ricercatori non potranno più essere assunti a tempo indeterminato e dopo un paio di contratti, a prescindere dal merito, si divideranno tra i sommersi, rottamati con il loro carico di competenze e di esperienze, e i salvati, assunti come professori di seconda fascia dai soliti baroni di prima.

3) Inizia la discussione al Senato e le opposizioni sembrano appassionarsi alle virgole, più che alle parole (tanto quelle, si dice, vanno bene). Si fa strada la famosa “riforma condivisa”. Intanto l’università è divisa tra opportunismo e rassegnazione (“non c’è nulla fare”, “se facciamo i primi della classe, magari ci guadagniamo qualcosa”). Si susseguono le anticipazioni della riforma a opera di zelanti rettori. Ma ecco che si fa strada, dapprima sottotraccia, uno strano movimento: si agita l’ultima ruota del carro, quella dei ricercatori. Già banditi dalle commissioni di concorso dei loro pari (“sono condizionati dai loro superiori”, e dunque tanto vale far decidere solo a loro chi sia meritevole di entrare nel club), la riforma li mette su un binario morto: i migliori ricercatori sono quelli che non ci sono, e dunque tenure track alle vongole per chi deve ancora arrivare, ruolo ad esaurimento per i 25.000 in servizio, tanto “sono tutti nipoti dei baroni”.

4) Ma, il Ministro Gelmini ha fatto i conti senza l’oste: l’università italiana, cresciuta ben oltre gli investimenti che su di essa sono stati fatti, strangolata dalle manovre di Tremonti, si regge sul lavoro volontario di questa underclass del lavoro universitario. A questo punto, i ricercatori a tempo indeterminato si assumono l’onere di svelare la truffa: senza il loro lavoro volontario, l’università italiana chiude, non domani o dopodomani, ma oggi stesso. Facendo valere il principio di legalità, rifiutandosi di fare ciò per cui non sono stati assunti, i ricercatori indisponibili ad assumere incarichi didattici che non sono loro dovuti, mostrano urbi et orbi che il collasso dell’università italiana è già qui e adesso.

5) Mentre la conferenza dei rettori, pateticamente, si accontenta delle promesse del duo Gelmini – Tremonti (l’università avrà i soldi di cui ha bisogno a fine anno, e comunque dopo che – e solo se – la riforma sarà stata approvata a scatola chiusa), complice le nubi sulla durata della legislatura e la probabilità crescente di elezioni anticipate, l’opposizione si sveglia e alla Camera inizia a fare il suo mestiere. Il Presidente della Camera ci mette del suo e resiste alle pressioni del Governo affinché la proposta venga approvata senza discussione in un fine settimana di (non) lavoro parlamentare. La maggioranza va in tilt e fa un passo verso i ricercatori, cercando di rimuovere il bastone dalle ruote: 9000 posti da professore associato nei prossimi sei anni. Non è quello che vuole il movimento, che non chiede per sé ma per l’università pubblica in via di rottamazione, tanto quanto i suoi ricercatori. E siccome i destini sono incrociati, il bluff della maggioranza e del Governo per ammansire i ricercatori, si dimostra rapidamente un bluff sull’intero progetto di riforma. Come il movimento dice da quando era un’onda, l’università è senza soldi per l’ordinaria amministrazione e per la sua riforma, e finanche per la promozione di 9000 ricercatori nei prossimi sei anni (il minimo necessario per coprire i vuoti di organico che si apriranno con il pensionamento di gran parte degli ordinari e degli associati in servizio). Ragioneria dello Stato e Ministero dell’economia certificano: l’offerta della maggioranza ai ricercatori è priva di copertura nel bilancio dello Stato. Fine della storia: la maggioranza ha riconosciuto che senza soldi la riforma non si fa; il Ministero dell’economia conferma che soldi non ce ne sono.

Perché è importante tutta questa vicenda? Non siamo ancora a un successo del movimento dei ricercatori: l’università continua a essere sotto finanziata; i ricercatori di ruolo continuano a essere privi di uno status giuridico e di una prospettiva di carriera libera dai condizionamenti dei loro maggiori; i precari si stanno trasformando in volontari della ricerca e della didattica. Eppure questa storia ci dice che buoni argomenti (all’assemblea della “rete 29 aprile” dei ricercatori precari e di ruolo c’erano competenze che sulle politiche universitarie avrebbero potuto tenere testa al ministro, ai parlamentari e finanche ai direttori generali del Ministero), efficaci forme di mobilitazione (nonviolente e finanche legalitarie) e la consapevolezza di una soggettività politica (i ricercatori come “classe generale” dell’università italiana?) possono rompere un equilibrio e aprire uno squarcio nel Truman show del pensiero dominante. Altro sarà costruire una proposta alternativa a quella della Gelmini, e da soli, forse, i ricercatori non ce la faranno. Ma il giro di boa è stato compiuto.

 

(Stefano Anastasia)

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9 risposte a “I ricercatori e la riforma Gelmini (o “del prendere coscienza di sé”)

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  2. prof. Giovanni Falcetta

    Da IL BLOG DI RENATO BRUNETTA – LINK : http://www.renatobrunetta.it/

    vedi, sotto, il paragrafo, evidenziato in rosso, di una parte dell’ intervista, rilasciata nel 2009, dal ministro Renato Brunetta al giornalista de IL MESSAGGERO Pietro Piovani :

    ” A cosa serve mandare a casa con la forza tanti dipendenti, proprio mentre si chiede ad altri di rinviare il loro pensionamento?

    «Questa seconda norma sta a cuore a tutte le amministrazioni, ce l’hanno chiesta loro. Risponde a un’altra logica: la logica dell’efficienza».

    Cioè?

    «Noi mettiamo uno strumento nelle mani delle amministrazioni, che sono libere di utilizzarlo oppure no. Se un’amministrazione pensa di avere una spesa di personale eccessiva, sfrutterà questa possibilità. Non credo che un’amministrazione si priverà del personale di cui ha bisogno».

    Potrebbe essere un’occasione per fare regolamenti di conti, mandare a casa i dipendenti non graditi, e magari poi riassumere con logiche clientelari.

    «Questi rischi ci sono sempre, anche quando si fanno i prepensionamenti nelle aziende private. Io però voglio fare una cosa».

    Cosa?

    «Chiederò a ogni amministrazione di presentare un piano di riorganizzazione del personale. Se vogliono utilizzare la norma sui 40 anni dovranno farlo in modo trasparente, dichiarando perché vogliono farlo e in che modo. Non deve essere un’operazione opaca, non si devono fare selezioni arbitrarie, tu sì e tu no».

    I sindacati chiedono di aprire una discussione su questo tema. Bonanni si augura che il governo «ci ripensi».

    «Siamo sempre disponibili a discutere, purché si affrontino temi concreti e non si facciano discorsi generici e retorici. Finora ho visto da parte dei sindacati un grande senso di responsabilità. Anche la Cgil, pur sollevando le sue obiezioni, ha chiesto di affrontare il tema di una riforma previdenziale in modo organico».

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    Commento mio :

    Dalla mancata predisposizione del ‘piano di riorganizzazione del personale..(realizzato dalle varie Amministrazioni Pubbliche n.d.r.).in
    modo trasparente, dichiarando perché vogliono (usare la facoltà di
    pensionamento coatto con 40 anni contributivi, n.d.r,) e in che modo, (per
    evitare, n.d.r.) un’operazione opaca…. e selezioni arbitrarie, tu sì e tu
    no». derivano gran parte degli atti illegittimi compiuti dal ministro Gelmini (Direttiva MIUR n.94, circolari….) e dai vari Uffici Periferici MIUR (USP e USR).

    I “PENSIONAMENTI FORZOSI” DEL PERSONALE SCOLASTICO CON 40 ANNI DI CONTRIBUTI SONO INCOSTITUZIONALI E ILLEGITTIMI

    del Prof. Giovanni Falcetta

    6000 insegnanti licenziati dal 1 Settembre 2010, solo con “circolari truffa”, dal Ministro Mariastella Gelmini.

    I “pensionamenti forzosi” del personale scolastico con 40 anni di contributi sono incostituzionali e illegittimi, una bieca operazione di “macelleria sociale” o “darwinismo sociale”del tutto priva di valide e coerenti motivazioni, realizzata con delle circolari Miur che violano la forma e la sostanza delle stesse leggi 133/2008 e 102/2009, che regolano tale pensionamento.
    Infatti, mentre le leggi presuppongono l’accertamento di esubero in organico, le circolari “impongono” ai dirigenti scolastici di licenziare il personale anche in condizioni di non esubero.
    Senza l’attenuante di far posto a giovani docenti precari, in attesa di immissione in ruolo, perchè la Finanziaria 2008 e la recente manovra economica correttiva hanno tassativamente bloccato nuove assunzioni.

    Altre ulteriori discriminazioni:
    1) alcuni dirigenti scolastici hanno licenziato o non licenziato i propri dipendenti per simpatia o antipatia o in base alla paura o meno di improbabili sanzioni disciplinari che sarebbero loro arrivate (a loro dire, se non licenziavano) dagli Uffici provinciali, regionali o nazionali del Miur.
    2) si sono già avute, da parte dei giudici del lavoro di tutt’Italia sentenze difformi sui ricorsi inoltrati loro dai docenti rottamati. Fino a questo momento almeno 15 giudici hanno accolto i ricorsi dei ricorrenti, altrettanti li hanno respinti.

    I dirigenti, nel licenziare il personale docente e Ata, con 40 anni di contributi, oggettivamente,hanno agito in una condizione di evidente “conflitto di interessi”, perchè, essi, all’ultimo momento, sono stati furbescamente, esclusi dal “pensionamento coatto”;
    In una scomoda ed ambigua posizione di palese “conflitto di interessi ” si son venuti a trovare anche tutti i giudici del lavoro che si sono occupati e si stanno occupando ancora dei numerosi ricorsi, perchè anch’essi, dalle leggi 133/2008 e 102/2009, che regolano la materia,sono stati furbescamente esclusi dal “pensionamento coatto”.

    E’ totale l’incostituzionalità sia della legge 133/2008 che della successiva legge 102/2009, perchè esse confliggono palesemente con l’art. 3, comma 1, Cost. in quanto escludono dalla “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” i magistrati, i professori universitari (art. 72, comma 11, legge 133/2008), i dirigenti medici di strutture complesse (art. 17, comma 35 novies, legge 102/2009) e i dirigenti scolastici. Incostituzionalità che (essendo tali norme “eccezionali” relative ai soli anni 2009, 2010 e 2011, termine oltre il quale non sarà più possibile la “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” nella P.A.), si paleserà maggiormente, allo scadere del 2011, perchè si creerà un’altra disparità di trattamento (altro conflitto con l’art. 3, comma 1, Cost.) tra i soggetti ai quali la “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” oggi si applica e i loro colleghi ai quali, pur trovandosi nelle medesime condizioni dei primi, dopo il 2011, non sarà più possibile applicarla.

    La “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro” del personale, in presenza di uno stato di servizio contributivo di 40 anni, si basa sul presupposto legislativo di accertamento della condizione di esubero in organico, come novellano le leggi citate che attribuiscono alla PA la facoltà di “risoluzione forzosa e unilaterale del rapporto di lavoro” ma solo ”nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa per il pubblico impiego…con la riduzione di un rilevante numero di posti di docenti….” con la raccomandazione che “dovrà essere evitata ogni forma di aggravio erariale connesso al formarsi di ruoli in esubero” (vedi art. 64 legge n. 133/2008 e Direttiva Miur n. 94 del 4 dicembre 2009, pag. 1).
    La “risoluzione forzosa del rapporto di lavoro”, anche in condizioni di non esubero, per gli insegnanti con 40 anni di servizio contributivo, è prescritta come obbligatoria solo dalla nota Miur prot. n. AOODGPER 1053 del 29/1/2010 e dalla nota Miur prot. AOODGPER 2261 del 25/2/2010. Ma tali note, come tutti sanno, non hanno alcuna cogenza di legge (vedi, ad esempio, sent. Cassazione n. 35 del 5 gennaio 2010: “….“La violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo le circolari norme di diritto, ma essendo piuttosto qualificabili come atti unilaterali…”).
    Esse, quindi, sono solo un’interpretazione arbitraria delle leggi 133 /2008 e 102/2009 da parte dell’Amministrazione del Miur, centrale e periferica, e configurano a loro carico un grave abuso di potere (comportamento illegittimo).
    Ciononostante il Ministero della Pubblica Istruzione, gli Uffici scolastici regionali e provinciali, con queste circolari (Direttiva Miur n. 94 del 4 dicembre 2009 e successive nota Miur Prot. n. AOODGPER 1053 del 29/1/2010 e nota Miur prot. AOODGPER 2261 del 25/2/2010, citate) hanno imposto ai dirigenti scolastici, su tutto il territorio nazionale, l’obbligo inderogabile di procedere al “pensionamento coatto” dei loro dipendenti che hanno maturato, entro il 28 febbraio 2010, 40 anni di servizio contributivo, con un comportamento autoritario che ha annullato, di colpo, le facoltà discrezionali propri del loro ruolo dirigenziale, le prerogative dell’autonomia scolastica e del decentramento amministrativo.
    Un provvedimento questo che confligge anche con una recente Direttiva della UE che vieta, ai fini del licenziamento, la discriminazione per età.

    Vista la polemica e il violento antagonismo che il “pensionamento forzoso” ha provocato negli insegnanti precari contro i loro colleghi “anziani” di ruolo da rottamare, che stanno ricorrendo al Giudice del Lavoro contro il loro “pensionamento coatto” (colpevoli, ai loro occhi, di togliere loro la possibilità di avere un posto di ruolo stabile) faccio presente una notizia poco nota alla maggioranza dei docenti e dell’opinione pubblica : sia la Finanziaria 2008 che l’attuale manovra economica correttiva, testè approvata definitivamente alla Camera, escludono, almeno fino al 2013, tassativamente, nuove assunzioni, anche in sostituzione di docenti pensionati o pensionandi.

    Le immissioni in ruolo di docenti precari (pare 10.000) promesse dalla Gelmini andranno a coprire posti già occupati dagli stessi precari o posti lasciati liberi da docenti che sono andati in pensione volontariamente, cioè cattedre diverse da quelle che occupano attualmente i docenti con 40 anni contributivi.
    Questi ultimi non saranno assegnati a nessuno, si perderanno e basta (vedi Italia Oggi di pochi giorni fa). E gli alunni, che sarebbero stati affidati ai docenti pensionati, saranno “spalmati” sulle classi dei loro colleghi rimasti in servizio, andando ad incrementare ancor più, in aggiunta agli effetti dei tagli di cattedre già avvenuti, il rapporto proporzionale docenti / allievi che, ad esempio, per le scuole secondarie superiori, da Settembre 2010, potrebbe mediamente arrivare a 30 studenti per 1 docente, accrescendo notevolmente il carico di lavoro degli insegnanti. Con buona pace dell’efficacia della didattica e dei processi di apprendimento!

    Questo è il grande inganno e la crudele beffa dell’attuale Governo e del suo Ministro dell’Istruzione, con la complicità dei “compagni socialisti” Brunetta e Tremonti (SIC!): hanno scatenato cinicamente ed artatamente (divide et impera!) una guerra tra poveri, mettendo i precari contro i loro colleghi di ruolo, con il tacito consenso di tutte le forze politiche di maggioranza ed opposizione, della stampa, e di tutti i sindacati della scuola.

    Alla faccia di tutte le periodiche raccomandazioni dell’Unione Europea e dell’OCSE che, ricordando i deficit di bilancio dei vari Stati, invitano da tempo i Paesi membri ad innalzare l’età pensionabile, anche su base volontaria, fino a 67/70 anni (In Spagna Zapatero ha proposto di innalzarla a 67 anni).
    Alla faccia di analoghe raccomandazioni fatte, di recente, a Bruxelles, dal nostro Presidente del Consiglio.
    Alla faccia dei consigli pressanti dati al nostro governo, anche recentemente, dal dott. Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e dalla dott.ssa Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che hanno ancora sottolineato l’esigenza urgente di innalzare l’età pensionabile fino a 67 anni e oltre.
    Alla faccia dell’emendamento alla manovra economica correttiva, testè approvata dall’attuale governo, in cui si afferma la correlazione graduale dell’età pensionabile con la cosìddetta “speranza di vita”, misurabile in base agli indicatori periodicamente forniti a riguardo dall’Istat.
    Alla faccia del disegno di legge, a firma, tra gli altri, dell’ on. Giuliano Cazzola (PDL) e Pietro Ichino (PD), tutt’ora in discussione alla Camera, che propone l’innalzamento “sperimentale” dell’età pensionabile, oltre i 65 anni, su base volontaria.
    Alla faccia delle recenti dichiarazioni del ministro Brunetta rilasciate alla radio RTL. 102, in cui lo stesso affermava che “il pensionamento forzoso” era “una norma intelligente che va applicata con intelligenza”.

    Che cosa sta accadendo da mesi, invece, in tutt’Italia?
    Molti dirigenti scolastici, adducendo di eseguire ordini gerarchici tassativi, temendo di ricevere sanzioni disciplinari dai loro superiori, entro il 28 febbraio 2010, hanno inviato, in tutta fretta, ai loro dipendentii con 40 anni contributivi, il “preavviso di risoluzione forzosa unilaterale del rapporto di lavoro”, a decorrere dal 1° settembre 2010, imponendolo loro implacabilmente, in modo totalmente indiscriminato.
    In taluni casi, i dirigenti, nella loro ansia di far presto per compiacere i loro superiori, hanno pure violato gravemente le leggi vigenti, innescando centinaia di ulteriori ricorsi da parte dei dipendenti pensionati contro la loro volontà.
    Infatti, mentre le leggi citate danno loro la facoltà di licenziare i pubblici dipendenti con 40 anni di contributi effettivi e figurativi realmente e definitivamente pagati, con avvenuta registrazione del pagamento presso gli Uffici della Ragioneria Provinciale dello Stato e dell’Inpdap (inclusi il riscatto degli anni di laurea, dei servizi preruolo, dei servizi prestati all’estero, etc.), in molti casi,nonostante tali precondizioni legislative non esistessero, i dirigenti hanno ugualmente licenziato i loro dipendenti, senza prendere in considerazione tali elementi ostativi.
    Ci sono state anche altre situazioni in cui, per omissioni o negligenza continuate nel tempo della P.A., pur non essendo stata definitivamente chiarita la posizione giuridica degli insegnanti da licenziare, ed essendosi, perciò, avviato (anche senza una formalizzazioine istituzionale), un contenzioso tra questi ultimi e gli uffici centrali e periferici del Miur (per esempio, conosciamo un caso in cui, in base ad atti ufficiali dell’Amministrazione Scolastica, non è chiaro se l’insegnante, oggetto del provvedimento di pensionamento, appartenga giuridicamente alla Scuola Secondaria di I o di II grado), i Dirigenti, senza porsi alcun dubbio, e senza considerare le ragioni degli interessati, li hanno licenziati ugualmente in tutta fretta, ledendo gravemente il loro diritto alla difesa giurisdizionale dei loro legittimi interessi lesi dall’Amministrazione, seppure in regime di autotutela amministrativa già avviata.
    Addirittura, in alcuni casi, vista la resistenza opposta al pensionamento coatto da insegnanti e Ata, i dirigenti hanno chiesto in modo autoritario a questi ultimi di firmare una lettera di autolicenziamento, cioè di “dimissioni volontarie”.
    In alcune scuole i dirigenti, dopo aver loro consegnato la lettera di “preavviso di licenziamento”,hanno inviato ai loro dipendenti una diffida scritta, con minacce di sanzioni disciplinari in caso di non ottemperanza da parte loro, nella quale li sollecitavano a compilare, con la massima urgenza, i vari moduli necessari per richiedere all’Amministrazione l’erogazione della pensione e della buonuscita a decorrere dal 1 settembre 2010.

    Ovviamente, in questa loro decisione ha influito sicuramente anche il fatto che essi, grazie anche ai loro sindacati, successivamente all’approvazione delle leggi nn. 133/2008 e 102/2009, sono stati esclusi dal “pensionamento forzoso”.
    D’altronde, proprio l’attuale Governo ha da pochi giorni firmato con tutte le OO.SS. della dirigenza scolastica il nuovo contratto di lavoro che attribuisce ai dirigenti un aumento stipendiale medio di 350 euro lorde mensili più gli arretrati di vacanza contrattuale dal 2006 al 2009 da riscuotere entro il mese di agosto 2010.
    Di converso, ha bloccato per 3 anni il rinnovo del contratto di lavoro, già scaduto, degli insegnanti e del personale Ata (aveva programmato di dar loro 20 euro lorde di aumenti mensili !), stabilendo anche che gli anni 2009/2012 non saranno validi ai fini della maturazione degli scatti stipendiali di anzianità.
    Per questi motivi, i dirigenti, nel licenziare il personale docente e Ata, con 40 anni di contributi, oggettivamente, hanno agito in una condizione di evidente “conflitto di interessi”.
    Altri Dirigenti, in base ai loro insindacabili criteri, compresi la simpatia o antipatia personali verso gli interessati (altra discriminazione) e, quindi, utilizzando, di fatto, le facoltà discrezionali propri del loro ruolo dirigenziale, le prerogative dell’autonomia scolastica e del decentramento amministrativo, escluse in modo autoritario, come abbiamo visto, dalle Note e dalla Direttiva Miur summenzionate, non hanno inviato ai loro insegnanti la lettera di “preavviso di licenziamento”.

    Le centinaia di ricorsi ai giudici del lavoro, promossi dai dipendenti pubblici, insegnanti e non, contro i “pensionamenti coatti”, stanno avendo risultati difformi in tutti i Tribunali italiani.
    Almeno una ventina di giudici si sono già schierati a favore della Pubblica Amministrazione,altrettanti contro (altra discriminazione verso i pubblici dipendenti !), con grande intasamento delle aule giudiziarie (come se non fossero già abbastanza ingolfate!) ed enorme spreco di risorse umane ed economiche da parte dei ricorrenti (altra ingiustizia!) e, talora, anche dello Stato, quando esso viene (e, in alcune ordinanze, già lo è stato) condannato a pagare le spese processuali.
    Per non parlare, poi, della scomoda ed ambigua posizione di palese “conflitto di interessi “in cui si son venuti a trovare tutti i giudici del lavoro che si sono occupati e si stanno occupando ancora dei numerosi ricorsi avverso i pensionamenti forzosi, visto che essi dalle leggi citate (vedi sopra) sono stati esclusi da tale provvedimento.

    Non sarebbe stato meglio, nella L. n. 133 /2008, e nella n. 102 /2009, invece che dire che “l’amministrazione ha la facoltà di procedere unilateralmente alla risoluzione forzosa del rapporto di lavoro”, affermare che “l’amministrazione ha la facoltà, in base alle sue esigenze organizzative ed operative, di procedere, con accordo bilaterale con gli interessati, o su base volontaria degli stessi, alla risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti con 40 anni di contributi”?

    Ci sono, infatti, migliaia di dipendenti pubblici che vorrebbero andare in pensione con 40 anni ed anche meno di contributi. Ma perchè imporre a tutti di andare in pensione per forza, anche a quelli che se la sentono ancora di lavorare (per la passione che hanno sempre transfuso in questa difficile professione, per l’entusiasmo e l’amore per la cultura che hanno cercato, con impegno e fatica, spesso riuscendoci, di comunicare ai loro studenti, per continuità didattica a vantaggio delle classi loro affidate) e anche a quelli, magari monoreddito, con figli e mogli a carico, con il mutuo casa da pagare, che fanno fatica ad arrivare a fine mese (come la maggior parte delle famiglie italiane con reddito mediobasso da lavoro dipendente), ai quali 100-150 euro in più nello stipendio, rispetto alla pensione, in questa fase di grave crisi economica, aiutano un po’ a tirare avanti?

    E, poi, qual è il risparmo che lo Stato ricaverà da questa operazione? Secondo Italia Oggi ed altri quotidiani, il Tesoro risparmierebbe, su 10.000 appartenenti al personale scolastico, comprendenti anche i presidi, una cifra che si aggira, più o meno su 450.000.000 di euro l’anno. Essendo i presidi, come abbiamo visto sopra, stati esclusi dal provvedimento di pensionamento, rimarranno da pensionare, press’a poco, 6000 docenti su un totale complessivo di 700. 000.
    Dal loro pensionamento si prevede di ricavare, ipotizzando uno stipendio medio di 1900 euro a testa, un risparmio di 148.200.000 Euro l’anno. Ma, se consideriamo che lo Stato deve pagare a costoro la pensione massima, minimo 1700 Euro a testa, esso dovrà sborsare Euro 132.600.000. Infine, attraverso l’Inpdap, il Tesoro dovrà pagare ai pensionati coatti, dal 1° settembre 2010, entro 3 mesi, la buonuscita massima.
    Calcolando mediamente una buonuscita di 70.000 Euro a persona, lo Stato dovrà pagare subito a 6000 docenti rottamati, una somma complessiva che si aggira sui 420.000.000 di Euro, aggravando, così, il traballante bilancio Inpdap che, in parte è finanziato da contributi statali accantonati proprio per le buonuscite e le pensioni dei pubblici dipendenti. A questo punto, qual’è il risparmio a beneficio dei conti pubblici? Irrisorio.

    L’ultima giustificazione per il “pensionamento coatto”, addotta, oltre che dalle burocrazie ministeriali, dai precari, ancora dall’opinione pubblica ed anche, in un’altra intervista alla radio RTL. 105, dallo stesso ideatore del provvedimento, il ministro Brunetta, si fonda sull’asserzione (falsa) che, mandando in pensione 6000 insegnanti (ma il problema è esteso a tutti i pubblici dipendenti) si farebbe gradualmente largo ai giovani, svecchiando l’età anagrafica di questi lavoratori della scuola.
    Tale tesi è facilmente confutabile. Tra gli insegnanti, per esempio, centinaia di migliaia su 700.000, che rimarranno in servizio per non avere maturato 40 anni di contributi, hanno un’età anagrafica di 60-64 anni, spesso superiore a quella dei loro colleghi rottamati a 52-59 anni che possiedono 40 anni contributivi solo perchè hanno già riscattato, a loro spese (e a loro danno!) i 4 anni di laurea, servizi pre-ruolo, servizi all’estero o in altre Amministrazioni pubbliche o aziende private (ricongiunzioni).

    Ed allora, qual è la ragione del “pensionamento coatto”? Non è individuabile. Insomma, stiamo assistendo ad un’ ennesima operazione di “macelleria sociale” o “darwinismo sociale”, da parte del governo in carica, del tutto priva di valide e coerenti motivazioni.

    Puro arbitrio del potere. Un capriccio del Principe ! E, poi, seguendo una logica di “svecchiamento anagrafico”, perchè non mandiamo in “pensione coatta” i politici (i componenti di assemblee elettive nazionali, europee e degli enti locali) o i manager pubblici(parecchi dei quali hanno raggiunto l’età di 70 anni ed oltre), a partire da 60 anni in su?

    tel. 0373 23 03 04

    g_falcetta@hotmail.com

  3. Bella analisi: succinta, convincente, efficace e tuttavia profonda. Complimenti…
    Ciao!!
    pg

  4. Professo’, la sintesi !

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  7. diana de vito

    Sono entrata di ruolo, vincitrice di concorso, nella scuola primaria, nell’anno 1971/72; mi vorrebbero mandare in pensione all’1/09/’11 ma io intendo presentare ricorso al giudice del lavoro appellandomi al fatto che al 31/08 /’11 non ho maturato i 36anni 12 mesi e 16 giorni previsti dalla legge (mi mancherebbero 16 giorni); inutile aggiungere che non ho ancora 60 anni e che insegno in una II classe primaria con alunni di 7 anni, molti dei quali con problemi familiari ed affettivi, che sicuramente subirebbero un trauma, perchè, questo ,per loro non fa testo.. mi si continua a ripetere che godrei di un abbuono per i giorni di contribuzione mancanti,ma se io di tale “beneficio” non voglio godere??????? Se per me vale di più l’interesse dei miei alunni ed anche la mia dignità professionale ed umana? Dopo tanti anni dedicati alla scuola senza mai assentarmi è giusto non debba scegliere io il momento di andare in pensione? Vorrei da lei un parere: secondo lei la mia dirigente avrebbe potuto non farmi firmare il preavviso ? e il ricorso devo indirizzarlo anche a lei? Grazie Diana

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