Le donne come preda per il potere. Una storia su Gheddafi che parla anche all’Italia

immagine tratta da libya.tv

E’ il libro della giornalista francese Annick Cojean, The Prey, a riportare l’attenzione su uno dei tabù più pericolosi della società libica ma anche della nostra, moderna, occidentale società contemporanea. La Preda parla di donne (e in alcuni casi giovani uomini) scelte e prelevate per compiacere sessualmente l’ex signore della Libia Muhammar Gheddafi. Non una pratica capricciosa e casuale ma un sistema di reclutamento condotto con meticolosa perizia dal suo entourage. Che riguardava tutte le donne, dalle figlie di ministri e generali (che appena potevano mandavano le figlie maggiori all’estero) alle figlie del popolo, prelevate dalle visite ufficiali a scuole e villaggi. O ragazze straniere abbordate nelle discoteche di Parigi o di altre capitali. Donne che finivano a vivere all’interno della fortezza di Bab Al Azizia per qualche mese o per qualche anno. Anche alle donne straniere, in visita in Libia, poteva capitare di sentirsi bussare alla porta da un’infermiera per chiedere un prelievo di sangue. A quanto pare una misura di prevenzione contro l’Aids, nel caso Gheddafi decidesse di assecondare la propria natura. Annick Cojean arriva in Libia come inviata di Le Monde e cerca di documentare attraverso testimonianze dirette gli abusi di Gheddafi. Ma per la società libica lo stupro è un tabù e le sue vittime delle donne senza volto. Così come le donne velate integralmente che spesso decidevano di scomparire per non esporsi agli occhi dei possibili carnefici.

Quello che qui in Italia è passato come ‘folklore’ – le amazzoni al seguito di Gheddafi neanche si trattasse solo di tende e cammelli – in realtà svela tutta l’ipocrisia su una questione che non è femminile. Ma di rispetto della dignità delle persone e di diritti umani. Bisogna parlarne da noi, non solo per il tristemente noto (ancora folklore) rito del Bunga Bunga che ha segnato l’apice della caduta dell’ex premier Silvio Berlusconi. Ma perché riporta le cose al loro posto. Per quanto difficile sia. Il libro della giornalista francese spiega come l’harem di Gheddafi non fosse una deplorevole concessione ad ataviche tradizioni ma uno strumento politico di perpetuazione del potere e di controllo della società libica, usato dal capo per i suoi scopi personali. E gli scopi personali di un capo di Stato, che sia legittimamente eletto o uno spietato dittatore (come in tanti si affrettano a chiamarlo oggi) non sono certo un affare privato bensì uno strumento di potere (politico appunto). Che vi sia coinvolta la tratta di avvenenti fanciulle, e fanciulli, per compiacerlo non andrebbe derubricato alla voce perversioni personali. Perché, come succede in tutte le cancellerie del mondo, dalle più evolute alle più rudimentali, quello che fa il capo avviene al vaglio o almeno al consenso informato di una pletora di funzionari e ministri, giudici e generali che fanno parte a vario titolo di quel sistema di governo.

The Prey non è solo la storia di Soraya, una ragazzina di quindici anni, scelta dal Rais durante una delle sue visite alle scuole del paese, così come della altre mille Soraya scelte dalla ‘sensale’ Mabrouka tra Parigi e le altre capitali in giro per il mondo. E’ la storia di come un leader possa, con la complicità di molti, controllare il suo popolo al prezzo della dignità e della vita e della libertà delle persone. Che siano donne lo rende più grave soltanto per il clima di omertà e di tabù che spesso accopagna la denuncia di stupri e abusi e violenze. Il libro nero su Gheddafi e le donne ci riporta alla mente tanti nomi e tanti episodi sussurati anche negli scandali italiani. Questioni di cui si fa fatica a pralare politicamente come strumento di abuso di potere non solo verso le vittime ma verso tutti i cittadini. Gli scandali sessuali che coinvolgono esponenti delle istituzioni non sono solo un affare privato di costumi o un affare pubblico che al massimo coinvolge le buone maniere: ciò che è appropriato in rispetto al proprio ruolo. Sono né più né meno uno strumento di controllo della società al fine di ottenere un vantaggio politico. Si tratta di corruzione in senso stretto e in senso lato. Il libro nero di Gheddafi è un po’ il libro nero della nostra società, che solo a Rais defunto, riesce a interrogarsi sulle sue cosiddette ‘amazzoni’.

(Paola Di Fraia, articolo uscito su Globalist)

1 Commento

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Una risposta a “Le donne come preda per il potere. Una storia su Gheddafi che parla anche all’Italia

  1. icittadiniprimaditutto

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